“DESTROY & REBUILD” (PARTE 3) – 90’S FEVER – BY DEEP MASITO

DESTROY & REBUILD (parte 3)

90’s FEVER

Passato il periodo del Flaminio stavamo in comitiva al cinema Reale di Trastevere, al bar S. Callisto e anni dopo a Campo de Fiori; l’attività principale era fumare ciloom, fare scatch e dipingere. Fumavamo tutto il giorno e oltre ad essere il tanto temuto Rome Zoo eravamo anche la “Controcollina”, alternativa del mega gruppo freak di villa Pamphili. Ognuno di noi aveva il proprio ciloom con rispettivo nome, a volte andavamo a comprarli a Bologna da Alverman e li portavamo sempre in tasca ovunque andavamo. Il miei erano Moschea e Blanco21, poi c’era il leggendario Clava di Gentlemen, Twentin di Tuff, Pollicicchio, Cobra etc etc. Quando se ne rompeva uno era una tragedia, la notizia del giorno. Fumavamo e facevamo scatch minuscoli elaboratissimi insieme a Sugo detto “Lo Straniero” su foglietti o scontrini che ci trovavamo in tasca. Stavamo in fissa per i wildstyle a stecche, gli attacchi infiniti tra le lettere, le frecce e i bubbles (la stesse cose che ci piacciono ancora oggi). La fame chimica, unita alla “fame per gli attacchi delle lettere” dominava le nostre giornate; come in un video giravo per Roma con la musica negli auricolari a palla, disegnando nell’aria lettere con la mente, trasportato da un bus notturno pieno di attori e comparse della capitale “by night”. Era il periodo dei rave illegali, dei primi trip Super Mario e delle pasticche, ma io non gradivo e fumavo solamente ciloom appena potevo. Avevamo un linguaggio personalizzato, un fischio tutto nostro per ritrovarci nelle serate affollate o nei locali, randagi e selvaggi come cani di strada. Un periodo facevamo base a casa di Tuff a Trastevere, la chiamavano “Il Quartiere“e uscivamo solo per “acquistare” o la notte per tornare a casa col bus notturno. Conoscevamo ogni bus di Roma e taggavamo ovunque; certe sere finivo 3-4 posca a forza di scrivere prima di tornare a casa, lasciando una traccia visibile del percorso che facevo. Ancora non era esplosa la mania del Nero d’Inferno quindi i tags a marker erano spesso fatti a Posca, Pilot o Edding, molto colorati e piccoli senza drips. Cercavo la plastica e il metallo per scrivere a tempera sul liscio ma a Roma, dove tutto è pietra e marmo, non era per niente facile trovarli; eppure riuscivamo comunque a scrivere sui pannelli neri delle banche, sui secchioni della spazzatura verdi e ancora pali, panchine, semafori e cabine telefoniche. In fattanza si scriveva bene, eravamo concentrati e dava una bella soddisfazione sentire la città nostra; il marker era lo strumento che preferivo, veloce e netto, e a differenza degli spray non faceva ne’odore ne’ tantomeno rumore, quindi sul bus potevi scrivere sotto il naso della gente senza che se ne accorgessero, era una sfida con noi stessi. A me piacciono i tags rifiniti, le cose fatte di fretta soddisfano solo al momento perché “strappi l’attimo”, ma il giorno dopo quello che vedono gli altri e’ solo un tag storto e fatto male; preferisco farne di meno ma con cura, piuttosto che lasciare scritte scolorite di pennarelli quasi finiti . Il tag è tutto per me è l’essenza dei graffiti; dal tag vedi lo stile della persona, la fantasia, il carattere, la sintesi. Ho conosciuto gente famosa a dipingere ma con tag pessimi: su un muro colorato a spray te la puoi imbastire tagliando le linee e correggendo, ma col segno “one line” si vede tutto, si vede veramente chi sei, se il tag tuo “pesa” ti riconoscono tutti, sei te, basta un occhiata e sanno chi è stato.Come in “The Warriors” mettevamo il nostro marchio ovunque andavamo, a volte stavamo tutta la sera in un posto e se il giorno dopo passavi di lì te ne accorgevi che c’eravamo stati. Passavano veloci le giornate in una Roma ancora vivibile, spensierati quanto basta, passando da un’occupazione di una scuola all’altra: Caravillani, Tasso, Mamiani e Ripetta le scuole dove ci siamo fatti una reputazione (pessima) e soprattutto dove eravamo imbucati e nessuno di noi era iscritto. Al Caravillani ci eravamo impossessati dell’aula 13 con relative chiavi: era un occupazione dell’occupazione! Stavamo quasi tutto il giorno lì a disegnare e cazzeggiare permettendo l’entrata solo a chi dicevamo noi. Per quasi un mese ce la siamo spassata ma, come spesso accadeva, ci cacciarono e abbiamo dovuto trovare un posto nuovo. Spesso la sera portavamo qualche straniero a conoscere le nostre yards, qualche spray “rimediato” durante il giorno era il pretesto per mettere in pratica le ore di scatch. Gli stranieri, per lo più nord europei, erano “composti e tattici”, avevano un’attitudine e una mentalità più strategica e seria rispetto ai graffiti, ma guardavano con interesse il nostro modo di fare rustico e selvaggio e alla fine li conquistavamo. Dopo qualche giorno insieme erano sempre più italiani/romani e sempre meno stranieri, era una simbiosi. Una sera siamo andati a dipingere con Mellie (MSN-WOW) di Amsterdam a Nuovo Salario, prima di andare siamo stati tutta la sera a fumare a Campo De Fiori ma Mellie rifiutava ogni joint e a noi sembrava strano che uno di Amsterdam non fumasse. Arrivammo in yard coi motorini, io avevo un Ciao rosso sgangherato e dopo un giro di ispezione cominciammo a dipingere. Buio totale, mentre io faticavo a trovare le linee sulla lamiera del treno, Mellie stava già al secondo pezzo colorato e procedeva rapido col suo lavoro. Mellie in yard metteva un cappello a campana giallo molto appariscente, era una tecnica sua; se qualcuno ci beccava a scrivere se lo toglieva e lo buttava così chi aveva notato solo il cappello non lo riconosceva e poteva fingersi un innocente che passava di lì… in pratica quel cappello catturava così tanto l’attenzione che non notavano nessun altro particolare di lui e togliendoselo era irriconoscibile e totalmente anonimo…un genio! Dopo aver dipinto Mellie e’ venuto da me e mi ha chiesto di fumare; fumava (quindi era dei nostri!), evitava di farlo prima di dipingere per non allentare i riflessi ed essere reattivo per qualsiasi imprevisto, dato che in nord Europa le yard erano molto più hardcore e dovevi essere pronto a tutto. Imparavamo uno dall’altro e rubavamo con gli occhi. In quegli anni le contaminazioni con l’estero miglioravano le nostre tecniche di sopravvivenza, non solo lo stile delle lettere e noi: crescevamo.

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